Il lavoro è partito da una restituzione di fine laboratorio, alla quale siamo rimasti tutti come impigliati… e nella quale abbiamo deciso di rimanere ancora un po', per capire meglio, per scoprire dove ci stava portando davvero. Da una struttura d’improvvisazione siamo approdati a una partitura coreografica molto precisa e insieme aperta, nella quale ogni interprete è in ogni istante anche autore di se stesso. Ci siamo trovati a riconoscere e indagare su alcune figure molto potenti: sulla solitudine; sul perdersi; sull’andare alla deriva; sull’esilio e sull’approdo; sulla fondazione; sul riconoscimento; sulla comunione; e sempre, e di continuo, sullo stare in piedi, sul cedere, sul cadere, sul rialzarsi. Infine, su cosa significhi ‘comunità': su cosa essa sia e significhi, per ciascuno di noi.
Quello che poi accade è nuovo per tutti, sempre e ogni volta: si tratta di comunicazione tra umani, che può essere supportata da musica, luce, voce, scene e costumi, ma nella quale forma, tecnica e regole smettono di essere scòpi e tornano ad essere ciò per cui sono nate, e cioè strumenti. E quel che accade tra i corpi è vita. Concentrata.


Gli interpreti di questo lavoro hanno avviato ciascuno un proprio percorso nella danza e nel movimento, con un bagaglio di esperienza che varia da qualche anno a qualche mese.